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La Finta Cupola

La finta cupola fu senza dubbio la sfida più grande per Andrea Pozzo, ma anche l’impresa che più lo rese celebre, fruttandogli commissioni in numerose città, persino al di fuori del territorio italiano. L’artista riuscì infatti, con la sola applicazione delle leggi prospettiche, a trasformare una porzione di volta a botte, appena incurvata, in una vertiginosa architettura che moltiplica, amplifica lo spazio reale. Anche qui dovette essere arduo raccordare le vere partiture murarie alle componenti illusorie. Per simulare l’imponente volta Pozzo raffigura quattro pennacchi, all’interno dei quali trovano posto le personificazioni femminili dei continenti allora noti – EUROPA, AMERICA, AFRICA, ASIA – ulteriore rinvio alla potenza dell’ordine gesuitico e alla sua diffusione su scala mondiale. A questi si innesta la cupola ottagonale: su mensoloni doppi, che sporgono incombenti, poggiano colonne identiche a quelle sottostanti reali, dietro alle quali lo spazio è chiuso da serliane alternate ad archi semplici, che incorniciano un cielo limpido sconfinato. Questa imponente e maestosa architettura è popolata di personaggi celesti, tutti accorsi a rendere omaggio al Santo. Dalle balconate e sopra alle architetture, si affacciano angeli musici che col proprio strumento accompagnano la gloria di San Francesco. Altri angeli lo sostengono nella sua ascesa, il suo sguardo è rivolto lontano, verso l’infinito. Infinitum…il Santo lo ha già raggiunto e contemplato.

Andrea Pozzo e il trionfo dell’illusione

Membro laico della Compagnia di Gesù, Andrea Pozzo fu un celebre architetto, pittore e trattatista. Entrato nel Collegio milanese, il giovane non tardò a dimostrare le sue eccezionali doti creative, realizzando apparati effimeri – vere e proprie scenografie sacre che venivano approntate in chiesa in speciali occasioni – per le celebrazioni relative alla canonizzazione di San Francesco Borgia (a Milano e a Genova). Quanto realizzato a Mondovì segnò un vero e proprio punto di svolta nella carriera artistica di Pozzo. Si trattava infatti di passare dall’effimero alla grande decorazione. Il progetto era ambizioso, il compito arduo e impegnativo. Il risultato, portato a termine in soli due anni, fu sorprendente e conferì al promettente pittore una fama tale, che lo portò presto ad operare presso importanti cantieri, dentro e fuori il territorio italiano. Celebri sono le opere realizzate a Roma, dalla magnifica volta in Sant’Ignazio, al corridoio anamorfico della Casa Professa del Gesù. All’inizio del XVIII secolo, gli giunse l’invito di Leopoldo I, cui seguì un’ altrettanto intensa attività a Vienna, dove morì nel 1709. Oltre alle sue illusionistiche ‘false cupole’ e agli affreschi anamorfici, eseguì numerose pale e macchine d’altare. Capitale, infine, il suo Trattato “Perspectiva pictorum et Architectorum", in cui svela la sua grande conoscenza nel campo ottico e prospettico, fornendo consigli pratici e ‘trucchi’ per praticare la prospettiva.

La macchina d’altare

La macchina può essere spiegata come una via di mezzo tra una pala d’altare tradizionale e un apparato scenografico teatrale. Questo genere di realizzazioni si diffuse in età barocca, nel quadro della Controriforma, essendo strettamente funzionale ai suoi intenti: i fedeli dovevano essere catturati, dalla potenza divina; l’immagine dominava sulla parola, essendo l’arte il mezzo più diretto per arrivare al loro cuore. Le macchine meravigliavano, offrendo un’esperienza totalizzante, fatta di luci, suoni, profumi. Su due telai posti a una certa, calcolata, distanza l’artista ha raffigurato un monumentale colonnato prospettico. Frontalmente, l’illusione era totale: le colonne identiche a quelle reali della chiesa. Nell’intercolumnio compariva Francesco Saverio, dipinto su una sottile placca metallica, tagliata con esatti contorni. Cambiando prospettiva e osservando la struttura dal retro, in posizione invisibile all’occhio del fedele, l’inganno si svela: si apprende come ciò che grazie alla scienza prospettica appare profondissimo, in realtà disti di pochi palmi. Si scoprono numerosi ganci laterali ancorati al telaio, aventi la funzione di supporti per candele. Al buio – con la sola luce flebile e intermittente dei ceri, la distanza e il giusto punto di vista – tutto doveva apparire suggestivo e realistico. Poi d’improvviso… la magia: il santo si muoveva! Saliva lentamente verso l‘alto, dove lo attendevano la gloria celeste e il divino.